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IL VERO SENSO DELLA STORIA


Era un vento caldo ed asciutto quello che soffiava, a volte rabbioso ed urlante, tra le strade ed i vicoli della nostra terra. Oltre al silenzio quasi assoluto ed il brontolio continuo e sommesso dei cannoni e delle artiglierie, erano questi i suoni che incombevano sulla nostra città in quei giorni ormai lontani.Giorni di guerra….Giorni di violenza e di terrore. Una gran ciocca di capelli scuri che a volte ricadeva, folta e ribelle, sopra due occhi neri, sempre vigili ed attenti. Era con quegli occhi che un giovane montevarchino tredicenne volgeva il suo sguardo sul mondo e sulla realtà che lo circondava ogni giorno. Ormai, nonostante la sua età ancora giovane, aveva imparato a conoscere molto bene il tributo che gli dei della guerra esigevano dagli uomini. Da molti mesi, ormai, conosceva perfettamente il comportamento da tenere quando la sirena dell’allarme antiaereo ululava il suo sonoro avvertimento, riuscendo poi a tener ben calmo il cuore quando il cielo veniva solcato da una miriade di pericolose scie argentate. Aveva imparato con le forbici a tagliare con precisione tre lati dei quadrettini della tessera annonaria, in modo che quando doveva accompagnare sua madre Italia ai magazzini dell’Abbondanza per ricevere i pochi viveri alimentari spettanti, potesse risultare assai semplice il poter staccare i preziosi bollini. Aveva imparato ad aver molta pazienza nell’attendere il suo turno, nella lunga fila formatasi per attingere l’acqua dalla fontanella pubblica di via Marzia, ed a chiudere bene tutte le persiane delle finestre di casa, in modo di non far filtrare alcuna luce durante l’oscuramento notturno. Il suo stomaco aveva ormai imparato a riconoscere tutti i tipi di pane possibile, anche quello amaro e quasi immangiabile fatto con i piselli, buttato giù senza quasi masticare durante l’esperienza di sfollato, quando l’intera famiglia aveva lasciato per due settimane la propria casa (portandosi via solo delle coperte ed alcune pentole), per ritirarsi a vivere in un capanno in riva all’Arno. Aveva conosciuto anche la paura di non rivedere mai più suo padre Giuseppe, quando con la madre aveva percorso a corsa tutte le vie del paese nell’affannosa speranza di trovarlo (era in atto un rastrellamento, fatto dai tedeschi per prendere gli uomini e portarli a lavorare con loro, ma non toccavano mai gli uomini che erano insieme alle donne od ai bambini). Oltre alla paura aveva conosciuto anche il terrore vero, alcuni giorni prima, quando due soldati tedeschi avevano sfondato a calci la porta di casa per entrare ad armi spianate e fare razzia del poco pane rimasto, alcune pesche, l’orologio a catenella del nonno (nella sua incoscienza giovanile lui era volato in strada a chiedere aiuto, riuscendo così ad attirare l’attenzione di un massiccio sergente della polizia militare tedesca, ben distinguibile per la placca metallica sul petto recante la scritta “Feldgendarmerie”, cioè Polizia Militare). Nel tardo pomeriggio del 13 luglio 1944, l’unico passatempo concesso dai genitori al ragazzo risultava essere quello di rimanere affacciato ad una finestra della sua abitazione, in modo di trovar svago nel veder passare le persone che si trovavano nella sottostante via Marzia. Questa ferrea decisione, definitiva e senza nessuna ultima possibilità di appello, presa dai genitori per garantire l’incolumità del loro unico figlio maschio, era stata appena decisa dopo l’apprendersi delle notizie relative agli ultimi, tragici,

avvenimenti. Intorno alle ore 9.00 di quella stessa mattina, un tremendo boato aveva fatto tremare tutti i vetri e le case dell’intero paese.

Due bombardieri volanti “Martin Marauder” del 12° “Squadrone” dell’aviazione Alleata, equipaggiati con piloti sudafricani, erano esplosi in volo sopra Poggio Auzzo, una località collinare situata subito a ridosso delle propaggini occidentali del paese. Interi chilometri quadrati risultavano essere ancora disseminati dai relitti e dai rottami dei due velivoli, oltre ai resti carbonizzati dell’equipaggio. Le violente esplosioni immediatamente seguite alla distruzione in volo dei due velivoli appartenenti alla S.A.A.F.(South African Air Force), e la successiva ricaduta al suolo dei vari materiali, avevano fatto strage di alcuni abitanti delle località di Poggio Auzzo e dell’Ossaia, che non erano riusciti a trovare scampo dalla mortale tempesta di fuoco e schegge che dal cielo li aveva improvvisamente colpiti:

Pietro Romei (anni 59) Isolina Baroni (anno 50) Giuseppa Boschi (anni 55) Enrica Minciotti (anni 51) Giuseppe Morandini (anni 66) Maria Antonelli (anni 63)

Costretto suo malgrado in questa sorta di reclusione familiare, il ragazzo cercava di far passare il lento scorrere del tempo, guardando dalla finestra del secondo piano il veloce transitare sulla via dei rarissimi passanti, mentre il trascorrere di quegli attimi lunghissimi, veniva reso ancor più estenuante dal continuo brontolare del suo giovane stomaco mai sazio. Meglio allora sognare ad occhi aperti, aspettando i tempi futuri che saranno sicuramente migliori di questo: tempi di pace, di libertà, di gioco, d’amore e di pancia piena… All’improvviso però, un bagliore netto scintilla colpito dal riflesso dal sole. Uno strano cilindro argenteo ed appuntito scende velocemente, sibilando e con traiettoria curva, abbassandosi sempre di più.

Un lampo !

Un esplosione !

Un boato !

Una forza terribile e disumana strappa letteralmente la finestra che cade addosso al ragazzo, riempendolo di calcinacci e mattoni. Il risveglio ha il sapore amaro del sangue e della polvere, ma per fortuna le ferite si dimostreranno lievi e marginali, mentre invece sulla strada si è consumato un vero e proprio orrore. Un grosso proiettile di artiglieria è esploso nel mezzo di via Marzia, all’altezza quasi del “vicolo di Perlino”, e la sua imponente deflagrazione ha mietuto alcune vittime innocenti tra un gruppo di persone ignare, riunite in un locale utilizzato come forno, pieno zeppo di damigiane di vetro:

Amelia Bartolini (anni 10) Antonio Bartolini (padre di Amelia – 48 anni)

Gaetano Cappelli (anni 76) Rina Rigacci (anni 23)

Giulia Sandroni (anni 53)

Rina Secciani (anni 22) Giampiero Vanzi (anni 4)

Gina Secciani (madre di Giampiero Vanzi – anni 36)

La gente è sconvolta, attonita, mentre cerca, come può, di prestare i primi soccorsi a quei poveri corpi martoriati. Improvvisamente però, un altro boato si fa sentire violento come il tuono. Un'altra esplosione tremenda scatena una miriade di urla ed invocazioni che squarciano le orecchie, facendo quasi impazzire tutti di paura e terrore. A distanza di mezz’ora, un altro proiettile di artiglieria è esploso nella centrale via Roma, riversando tutto il suo carico di morte su altri uomini e donne innocenti:

Omero Marzocchini (anni 66) Annunziata Meucci (anni 67) Annibale Salvini (anni 52)

Rosa Salvini (anni 56) Demetrio Salvini (anni 56) Silvia Salvini (anni 10)

Montevarchi si è trovata intrappolata sulla prima linea del fronte.

Da un lato i reparti tedeschi della panzerdivision “Hermann Goering”, terribili nella loro determinazione e ferocia, contendono strenuamente ogni palmo di terreno al nemico mentre si accingono al presidio della linea di arresto “Irmgard”, il cui pilastro principale risulterà essere costituito nel paese di Ricasoli, a pochi chilometri di distanza da Montevarchi. Dall’altro lato, i reparti della Quarta divisione britannica di fanteria, assieme ai carri armati canadesi ”Sherman” della Prima Brigata Corazzata, si preparano ad avanzare, pronti a sferrare nelle terre valdarnesi un decisivo attacco dopo l’imminente liberazione della città di Arezzo. La sconvolta popolazione montevarchina si trova tragicamente presa tra due fuochi, costretta a subire i violenti cannoneggiamenti ed i continui duelli d’artiglieria che i due eserciti contrapposti si stanno scambiando dalle alture circostanti. Alla fine di quella tragica giornata, il demone della guerra continuerà ad esigere il suo alto tributo di vittime innocenti:

Guerriero Gualdani (anni 25) Tito Naldini (anni 64)

Silvano Romoli (anni 13)

Il giovane montevarchino, dopo un grandissimo spavento per i genitori ed una velocissima corsa all’ospedale cittadino, rientrò quella stessa sera a casa, esibendo sul capo una voluminosissima fasciatura a forma di turbante che, per fortuna, dopo qualche giorno sarà tolta senza gravi conseguenze.

Il tempo si sa è galantuomo, e con il trascorrere degli anni i ricordi e le esperienze sgradevoli vengono quasi del tutto dimenticati, riposti e nascosti negli angoli più oscuri della nostra memoria. Sull’angolo sinistro di una finestra di via Marzia però, è rimasta per lungo tempo

conficcata una scheggia, un lungo frammento metallico, a diretta testimonianza di quei pochi centimetri dalla vita che furono concessi dagli dèi della guerra ad un giovane ragazzo. Ho rivisto proprio adesso i profondi occhi neri di quel ragazzo di allora che, nonostante l’implacabile declino imposto dall’inevitabile trascorrere del tempo, sono ancora oggi vigili ed attenti. Questo pomeriggio però, al narrare di quei tragici momenti lontani, quegli occhi neri e scintillanti si sono velati per un attimo di malinconia e lacrime quando hanno incrociato lo sguardo dei figli e dei nipoti presenti. Dopo 72 anni trascorsi da quei lontani istanti di guerra anch’io oggi, in ogni

momento della mia stessa esistenza, sono strettamente legato a quei pochi centimetri di distanza tra la vita e la morte, concessi dagli dei della guerra a quel giovane ragazzo che, una volta fattosi uomo, mi ha poi donato la vita. Mio padre. Senza quella antica concessione del fato...quei pochi centimetri concessi tanto tempo fa ….non avrei potuto scrivere queste attuali parole….quelle stesse parole che voi state lentamente leggendo adesso, in questo stesso istante del presente.




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